martedì 14 luglio 2015

una particolare “mutazione” del design

Ho il piacere, ancora una volta di ospitare l'amico e architetto Franz Falanga, con una sua interessantissima riflessione sui cambiamenti del mondo del design dal titolo una particolare “mutazione” del design.



La storia dell’umanità è costellata da Mutazioni. Le mutazioni sono un fenomeno naturale di qualsivoglia gruppo sociale. Nell’ultimo secolo, il cosiddetto secolo breve, la frequenza delle mutazioni è aumentata notevolmente. Già questo notevole aumento, a sua volta, può essere ragionevolmente considerato  una Mutazione vera e propria.

Oggi vorrei parlarvi di una importantissima mutazione del Design italiano. Quando parlo del Design, intendo parlare della progettazione di oggetti commensurabili, utili all’uomo, di qualsivoglia dimensione, che vanno da una scatola di fiammiferi al restauro di una piazza di una metropoli e quant’altro.

Come si può agevolmente notare, il campo della creatività è notevolmente esteso ed esiste a vari livelli. Qui  entra in  scena la “creatività” che, come si sa, nulla ha a che fare con la “fantasia”. La fantasia è la capacità che ognuno di noi ha, quando, chiudendo gli occhi, “immagina” di trovarsi sulla Luna, nel Mare della Tranquillità. La creatività è invece la capacità di progettare e costruire quello che si è precedentemente fantasticato, per esempio un modulo lunare che poi allunerà nel mare di cui abbiamo parlato dianzi. 

La creatività italiana, nel campo del design, si è subito affiancata alla civiltà industriale, ormai abbondantemente  consolidata, alla fine del 1800. Non ho nessuna intenzione di scrivere una storia del design industriale in Italia. E’ mia intenzione invece parlare di una impressionante Mutazione che ha interessato particolarmente il campo del design italiano. Dal 1900 al 1945 la nostra creatività è stata notevole, si pensi alla “Topolino” della Fiat. Ma a me interessa, per non ampliare troppo il brano che sto scrivendo, parlare della rinascenza italiana nell’immediato dopoguerra, anche perché chiunque dovesse leggerci, dai grandicelli ai giovanissimi, certi celeberrimi oggetti del design italiano sono ancora salvati nella memoria collettiva. Penso, ad esempio, alla mitica Vespa della Piaggio, progettata dall’ingegnere Corradino D’Ascanio, uscita nel 1946, seguita a ruota, l’anno dopo, dall’altrettanto mitica Lambretta della Innocenti, uscita nel 1947, progettata dagli ingegneri Pier Luigi Torre e Cesare Pallavicini. I tre ingeneri, D’Ascanio, Torre e Pallavicini, guarda caso, erano tutti e tre ottimi ingegneri aeronautici. 

Non siamo ancora arrivati alla mutazione. Per poterla fra poco inserirla in un particolare scenario culturale italiano, ho pensato di elencarvi preliminarmente i grandi creativi del design italiano, così come mi sono venuti in mente a partire dagli anni cinquanta fino ad arrivare agli anni ottanta novanta, anno più anno meno. Tutto ciò lo userò come preambolo alla sua Mutazione.

Mi scuso per le molte omissioni che certamente noterete, peraltro dovute alla mia scadente memoria. Ed eccovi dunque una lista di nomi nell’ordine in cui mi venivano in mente, Si tratta di architetti e di designer che hanno rappresentato l’aristocrazia della creatività italiana dagli anni cinquanta fino all’ultimo decennio del secolo scorso, anno più anno meno.

Sto dunque ricordando a voi, gentili lettrici e gentili lettori, e a me, Ignazio Gardella, Salvatore Fiume, Lucio Fontana, Vincenzo Monaco, Amedeo Luccichenti, Marcello Nizzoli, Berizzi Buttè Montagni, Franco Albini, Luigi Caccia Dominioni, i fratelli Castiglioni, Bruno Munari, Pierluigi Spadolini, Franca Helg, Marco Zanuso, Alberto Rosselli, Gio Ponti, Enzo Mari, Dino Gavina, Carlo Scarpa, Ernesto Nathan Rogers, Enrico Peressutti, Michelucci, Roberto Gabetti, Aldo Rossi, Vittorio Gregotti, Isola, Canella, Umberto Riva, Giotto Stoppino, Lodovico Meneghetti, Leonardo Ferrari, Sergio Asti, Gae Aulenti, Cesare Cassina, Ernesto Gismondi, Ettore Sottsass, Afra e Tobia Scarpa, Cini Boeri, Joe Colombo, Mario Bellini, Adriana e Alessandro Guerriero , Alessandro Mendini, Lapo Binazzi, Franco Raggi, Michele De Lucchi, Alberto Alessi, e qui mi fermo.

Va immediatamente detto che in questo periodo storico, in TUTTE le città Italiane fiorirono degli straordinari negozi di arredamento che ospitavano il fior fiore del design italiano. Ricordo molto piacevolmente che questi negozi erano visitati con grande interesse dagli architetti del luogo e da persone che apprezzavano il bello nelle sue migliori espressioni formali e funzionali.

Fin qui la normalità dunque, se, per nostra comodità, così vogliamo chiamarla.
Un bel giorno però avvenne che, quasi contemporaneamente, scaddero moltissimi brevetti delle grandi marche dei celebrati costruttori di oggetti per l’arredamento, per cui il risultato fu che ogni fabbrichetta improvvisata o fabbrica non proprio dedicata all’argomento, iniziarono a produrre mobili che non erano altro che la brutta copia dei mobili fin ad allora ammirati ed esposti nei magnifici e coltissimi negozi di cui sopra. Ho visto poltroncine di Le Corbusier e oggetti di altri formidabili designer, ridotti a  bruttissime copie degli originali.

A questo fenomeno si unì poi un’idea brillante che entrò di taglio nell’immaginario collettivo per poi comodamente sistemarsi di largo, idea che “eccitò” la fantasia di molti “artisti” (sarebbe meglio chiamarli artistoidi), che con l’arte non avevano nulla a che fare. Costoro, infatti, proclamarono ai quattro venti che il design, tout court, apparteneva di diritto all’Arte. In questo furono assecondati da critici d’arte senza scrupoli, che, per esempio, fecero di tutto per cancellare nei loro studenti la domanda delle cento pistole che consisteva nel chiedere ai prof quale fosse il “ruolo” dell’artista nel mondo contemporaneo.

Su questo brutto momento si potrebbero e si dovrebbero  scrivere importanti lavori dedicati. L’affermazione che il design ormai apparteneva di diritto alla categoria dell’arte, fece proliferare una infinita infinità di orrori, parlo, ad esempio, di improbabili sedie che a tutto servivano tranne che a poter essere utilizzate come sedie, letti che tutto erano tranne che letti, per non parlare di oggetti di uso comune che avevano improbabili forme e inesistenti funzioni. Tutto questo “nuovo” era avallato dai soliti critici d’arte ed esteti del momento.

La MUTAZIONE si era finalmente appalesata, nel senso che i nomi dei creativi, che vi ho dianzi elencato, furono rapidamente dimenticati, i negozi di arredamento diventarono polverosi e non più frequentati da specialisti e da amanti del bello e del giusto costruttivo, per cui, nel giro di pochissimo tempo, questi magnifici negozi sparirono dalla circolazione.

Iniziarono sulle televisioni pubbliche e private (e ancora continuano) a furoreggiare spot pubblicitari televisivi orrendi e, come dire, elaborati da persone e artisti che avevano dentro di sé il vuoto pneumatico.

Un ramo importante dell’inscape, del paesaggio interno, per intenderci, era stato ahimè cancellato e il vuoto che si era prodotto fu rapidamente riempito dalla bruttezza e da espressioni e slogan gaglioffi che con “l’arte e con il design” nulla avevano da spartire.

Frattanto, nella stesso periodo, stiamo parlando della fine del novecento, veniva allo scoperto il malgusto che ormai si era impossessato anche dei piani alti della politica, lasciando il passo a cialtroni e guitti di ogni risma. E così il cerchio si è chiuso e la Mutazione si è definitivamente consolidata. 

franz falanga


1947 . Vespa

Olivetti . MC24 Marcello Nizzoli
  
Olivetti . Lettera22

Castiglioni brothers . Lampada Taccia

Olivetti Underwood . Programma101

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